La via del Sale detta La via della Salata

La via della Salata

Se la via del sale alta si presta a belle esperienze escursionistiche, un altro percorso di quota minore è ricco di riferimenti storici e ricordato anche localmente come itinerario di commercio. Questo percorso, percorribile in buona parte anche in auto, segue valli e valichi disposti anch'essi in direzione nord-sud, che permettono di restare più in basso (scelta necessaria nei mesi invernali) limitando comunque i dislivelli da superare fra una valle e l'altra. Il crinale principale est-ovest dell'Appennino ligure viene infatti superato nel suo punto in assoluto più basso (468 m), la Crocetta d'Orero, e anche la parte settentrionale del tragitto non comporta dislivelli eccessivi, passando dalla val Borbera al Genovesato in un luogo chiamato significativamente Salata. A capire l'importanza relativa delle diverse località, assai diversa da quella attuale, ci aiutano le carte geografiche del Sette- e Ottocento, collezionate da Giuseppe Bessone e raccolte in un bel volume [La Liguria nelle carte e nelle vedute antiche, De Agostini, Novara 1992], che indicano località corrispondenti talvolta ai paesi di riferimento attuali, talvolta a frazioni oggi quasi abbandonate, e in qualche caso a località di identificazione misteriosa.
Nella zona in cui sboccano gli itinerari montani, gran parte delle carte riporta il paese di Volpedo, nella bassa val Curone, facilmente raggiungibile da Tortona e Voghera e quindi dalle altre città della pianura. Volpedo, che vanta una notevole pieve millenaria, è stato reso celebre dal pittore Giuseppe Pellizza, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, la cui opera a sfondo sociale "Il quarto stato" è conosciuta in tutto il mondo; i sabati e le domeniche pomeriggio è possibile visitare lo studio-museo del pittore, con la competente guida di volontari del paese. L'interesse di Pellizza sta anche nel suo profondo legame con il paese e con tutto il territorio, che ha ritratto in opere come "Sassi neri del Penice".
Da Volpedo si può risalire attraverso il dolce paesaggio della media val Curone, passando per Brignano (sede di un castello e citato su molte carte) e oltrepassando l'antico confine fra i feudi tortonesi e quelli della Repubblica di Genova: questo passaggio è tuttora riflesso nel dialetto, fin lì di tipo lombardo, che diventa nettamente ligure a partire da San Sebastiano; gli abitanti della vicina Frascata parlano infatti un curioso e insolito idioma ibrido. San Sebastiano Curone è chiaramente ligure anche nell'architettura: le case del centro storico, disposto sulla confluenza nel Curone del suo affluente Museglia, sono già strette e alte, intonacate di vivaci colori gialli e rossi.
Lasciando a sinistra l'alta val Curone, si imbocca invece quella del Museglia, e dopo un primo tratto pianeggiante ci si avvia sulla destra a risalire le alture di Dernice. All'inizio di questa strada, nei pressi di Poldini si può vedere una vistosa piega geologica in cui gli strati sedimentari si rovesciano quasi completamente. Questo percorso mette in comunicazione la val Curone con l'alta val Borbera, che è rimasta a lungo isolata rispetto a quella bassa dalle selvagge strette di Pertuso, non superate fino a tempi abbastanza recenti da alcuna strada carrabile. Sul tratto di valico sorgono i paesi di Dernice e poco lontano di Montébore, che controllavano la zona a cavallo fra il Curone, il Grue e il Borbera con strategici castelli: sulle carte si trovano infatti le indicazioni "Cast. Derniz" e talvolta anche "Montebore", e nel 1715 "Sasso". Da anziani di questi paraggi è stata recuperata la ricetta quasi scomparsa di un gustoso formaggio detto appunto montebore, diventato negli ultimi anni una vera ricercatezza, al pari del vino timorasso. Poco dopo si arriva a Vigoponzo ("Vico Ponzo"), anch'esso molto antico e un tempo sede di un monastero, e a Zebedassi.
Da qui la strada mostra un'ampia panoramica dei verdi terreni digradanti verso il Borbera, aldilà del quale si trovano invece severe e ripide rocce. Sono i Conglomerati di Savignone, una formazione costituita da sassi cementati in una matrice sedimentaria, che attraversa le valli Scrivia, Vobbia e Borbera caratterizzandole fortemente sia per il paesaggio che per la difficoltà dei collegamenti: questa roccia è infatti meno erodibile dei Calcari dell'Antola, che dominano invece nei tratti superiori delle valli e sul crinale principale. Per questo, curiosamente, le alte valli Borbera e Vobbia offrono panorami più ampi, dolci e antropizzati che i loro tratti inferiori. A sinistra, sulle ampie falde del monte Giarolo, si vede un grosso palazzo fortificato, il castello di Borgo Adorno, legato alla nobile famiglia degli Adorno.
La via del Sale raggiunge il letto del Borbera a Cantalupo, nodo viario visibile su quasi tutte le carte. Come gli altri centri principali dell'alto Borbera (Albéra, Cabella, Carrega, Roccaforte, Rocchetta), il nome di Cantalupo è seguito dal suffisso Ligure, a sottolineare che i legami storici, culturali e linguistici di questa zona sono più forti con il Genovesato che con le basse valli. Siamo fra "i Piemontesi con la lingua dei Genovesi" citati nella canzone della bella Angiolina, ben conosciuta in alta val Borbera. Il centro storico di Cantalupo, oggi aggirato dalla strada provinciale, rivela invece una via centrale nettamente rettilinea, con il nome di un vecchio albergo che sbiadisce sui muri di una casa: era chiaramente questo il percorso della via del sale, nell'epoca in cui le strade passavano dal centro dei paesi anziché evitarli come avviene oggi. Pare che nell'Ottocento fosse attivo a Cantalupo un costruttore di pifferi, certamente il fornitore dei grandi suonatori delle valli Curone e Borbera.
A poca distanza da Cantalupo, in località San Nazzaro, si trova un importante bivio, in corrispondenza del quale è oggi il noto ristorante "da Bruno". Lasciando a sinistra la strada principale della val Borbera, imbocchiamo invece la valle del suo affluente Sìsola, il cui andamento rettilineo da nord a sud costituisce una scorciatoia naturale che ne fece un collegamento strategico. Appena oltre il ponte sul Borbera troviamo infatti un centro importante, Rocchetta Ligure; lungo la via centrale si trova il notevole palazzo dei nobili Malaspina, recentemente ristrutturato e sede del Comune. La via rettilinea sbocca attraverso un arco, che apre la nostra vista alla valletta del Sisolache ci apprestiamo a risalire.
Raggiungiamo un piccolo borgo che porta lo stesso nome della valle, e sulle carte sembra corrispondere a vari nomi: "Suzella" (1840, 1836), "Suzelle" (1791), "Sirsura" (1770), e in precedenza "Isola" (1797, 1784, 1783, 1754, 1749, 1747). Il nome Isola si ritrova in altri luoghi delle Quattro Province: Isola del Cantone in valle Scrivia, Isola di Rovegno in val Trebbia, Esola in val d'Aveto: in genere non si riferisce a un'isola nel senso moderno, ma a un luogo separato dagli altri da corsi d'acqua (a Isola del Cantone lo Scrivia e il Vobbia), oppure a un possedimento amministrativamente separato come nel caso di Isola del Vescovo, vecchio nome di Molassana in val Bisagno. La carta del 1836 mostra anche i successivi paesi di Pagliaro e Vergagni, quest'ultimo già sede di un'abbazia.
Risalendo il Sisola giungiamo a Mongiardino, comune sparso che sulle carte è citato alternativamente come "Mongiardino" o come "Lago", nome di due delle sue frazioni: la strada passava da queste — Lago Patrono e Lago Cerreto — e dalle case Camincasca, dalle quali infatti una bella mulattiera sale al valico, lasciando sulla sinistra la località Maggiolo dove si trova oggi la chiesa parrocchiale. Da qui la strada si inerpica verso il crinale con la val Vobbia, che raggiunge però assai rapidamente. Siamo al valico di Costa Salata, il cui nome è evidentemente riferibile alla sua funzione di transito commerciale. Oggi è invece un luogo decisamente appartato, e non vi si trovano che un ristorante e un gruppo di vecchie case. Molte carte riportano nelle vicinanze (a dire il vero un poco più a est, ma la precisione delle carte antiche è notoriamente approssimativa) anche il toponimo di "Monte Salato" o "Monte Salatto". In quella direzione si trova anche l'altro importante valico di San Clemente, dove fino a pochi anni fa era attiva un'osteria, guardato dalla nota cappella di San Fermo. Entrambi i valichi immettono dal bacino del Borbera in quello del Vobbia, dove si trovano le località di Vallenzona, Arezzo e Sarmoria (citate nel 1836), Salata di Mongiardino e Salata di Vobbia. Si scende per alcuni tornanti, toccando il Mulino di Salata o Mulino del Cascè, costruzione isolata dove si trova un ristorante, e proseguendo in direzione del capoluogo della valle.
Vòbbia ("Vobbia", "Vobia", "Ubia"; cfr. anche "Obbietta", attuale Vobbietta) è posta alla confluenza dei torrenti Vallenzona e Fabio, la cui congiunzione forma il Vobbia. Poco più a valle il torrente attraversa i Conglomerati di Savignone fra versanti ripidi e selvaggi, nei quali si erge l'impressionante Castello della Pietra ("la Preda"?), incastrato fra due torrioni rocciosi. Anche a Vobbia si può identificare facilmente una strada centrale che passa sotto un arco e accanto all'oratorio seicentesco della Trinità. Oltre al nucleo centrale con la chiesa, il paese è costituito da un secondo nucleo oltre il Vallenzona (Torre) e un altro oltre il Fabio (Case Fabio). È da quest'ultimo che si sale, attraverso un tratto di castagneti, al valico che immette in valle Scrivia. In questo tratto la provincia di Genova ha posto alcuni pannelli illustrativi degli antichi percorsi della via del sale.
Dal nucleo periferico di Vallemara ("Valle Amara") si entra a Crocefieschi ("Croce de Fie[s]chi", "Croce"), importante centro di passaggio e commercio edificato proprio sul valico. Nel suo nome attuale è ricordata la famiglia dei Fieschi, che per alcuni secoli dominò ampie zone delle Quattro Province, arrivando ad insidiare il potere genovese dei Doria con la fallita Congiura dei Fieschi del 1547.
I Fieschi tenevano l'importante castello e il palazzo di Savignone, altro grosso centro nelle vicinanze. Da lì si scendeva al greto dello Scrivia, che si varcava in località Ponte (indicata nel 1836), da cui attraverso San Bartolomeo di Vallecalda si poteva portarsi nel bacino del torrente Secca, nell'attuale comune di Serra Riccò, per dirigersi a Genova dalla parte di ponente.
Un altro percorso scendeva da Crocefieschi passando per una chiesa di "San Giorgio", via Sorrivi e Montemaggio, a Casella, che sorge sullo Scrivia poco più a monte. Nella piazza centrale di Casella si trova infatti un palazzo i cui locali fungevano da deposito del sale e delle altre merci. Come nota Capecchi, la disposizione della piazza e delle vie vicine, perpendicolare all'attuale strada principale, tradisce la vecchia logistica, che era orientata in direzione del valico della Crocetta d'Orero, poco oltre lo Scrivia; il valico è ancora oggi sfruttato dalla ferrovia a scartamento ridotto Casella-Genova, oltre che da una strada carrozzabile.
Dal Molinetto, poche case presso il paesino di Orero (da non confondere con quello omonimo in val Fontanabuona), si arrivava nel territorio di Sant'Olcese ("S. Orsis"), a Trensasco, e da qui in corrispondenza della recente galleria stradale in val Bisagno, ormai alle porte di Genova: per la precisione si sboccava nelle località, indicate anche dalle carte antiche, di Pino Soprano, Pino Sottano e Olmo, dove "c'era un tempo la stazione di posta e l'antica osteria dell'Olmo, nota in tutta la valle del Bisagno" [Giorgio Casanova, Le valli di Genova. Il Levante, SAGEP, Genova 1993].
In questa zona però le alternative erano numerose, anche a seconda del punto della Riviera verso cui si era diretti. A monte di Casella, un altro importante centro era Montoggio, da cui per la Colletta si arrivava alle Tre Fontane, sede di un santuario di antiche origini, di una fiera tuttora organizzata l'8 settembre, e della storia osteria della Rosin; quindi o al valico di Creto e di qui a Aggio e San Siro di Struppa, oppure alla zona dell'attuale lago artificiale Val di Noci e alla gola di Sisa, suggestivo valico prativo, da cui per mulattiere tuttora ben visibili si scendeva su San Martino e San Cosimo di Struppa.
Ancora, trovandosi nella zona di Fallarosa (citata nel 1836) e Laccio, si poteva passare l'Appennino alla Scoffera, scendendo nell'alta val Bisagno per Meco presso Morànego e Davagna, oppure sul versante orografico opposto per Bargagli e Traso, dove convergevano anche gli itinerari provenienti da Sant'Oberto, punto di snodo con la Fontanabuona e l'alta val Trebbia.
Si arrivava in ogni caso ai mulini di Cavassolo, all'inizio dello storico acquedotto di Genova, quindi a Molassana (dove confluiva anche il percorso dell'Olmo), e infine alla Foce, nella zona della stazione di Genova Brìgnole. Il tratto del Bisagno dove il torrente compie un'ampia curva a sinistra è detto ancora Giro del Fullo, perché vi si trovava uno stabilimento per la follatura della lana. L'ultima parte del Bisagno, oggi in parte coperta, era un tempo popolata di orti e di fruttivendoli: questi ultimi in città sono tuttora chiamati i bezagnini. Era perciò possibile comportarsi come il pescatore raccontato da De André in "Le acciughe fanno il pallone":
"Se sbarcherò alla Foce
e alla Foce non c'è nessuno
la faccia mi laverò
nell'acqua del torrente..."


Commenti

Post popolari in questo blog

Difetti del sensore di Hall su BMW R 1100 GS

restauro laverda 250 Chott