STORIA DELLA KTM 3

 Gli anni ’90 e la rinascita 

Oltre che dalla morte del suo storico titolare, il 1989 era stato
caratterizzato da una operazione di aumento del capitale sociale, dovuta
allo stato di sofferenza finanziaria causata dalla riduzione di liquidità e
dalla situazione preoccupante dello stato di capitalizzazione.
La società GIT Trust Holding, facente capo ai due manager Josef Taus e
Manfred Leeb, era intervenuta nel mese di maggio 1989 con un aumento
di capitale sociale di 50 milioni di scellini, e con la conseguente
intenzione di assumere la gestione aziendale con strategie innovative
rispetto all’andamento precedente. Il nuovo programma si basava
principalmente sul progressivo abbandono del mercato dei ciclomotori e
sul contemporaneo incremento della produzione di biciclette, oltre a un
più marcato interesse nei confronti del nuovo settore produttivo legato ai
radiatori, che porta così a diminuire l’investimento nella ricerca e nello
sviluppo di nuovi modelli di motociclette.
Nella realtà dei fatti tale politica non si mostra redditizia. Come era stato
segnalato da anni dai concessionari e dagli importatori dei mercati più
importanti, la diminuita attenzione nel livello qualitativo delle moto,
vero asse portante dell’azienda, si rivela un problema reale e
consistente. Comunque nel 1990 le cifre sembrano dar ragione alla
nuova gestione, perché per la prima volta il fatturato supera quota un
miliardo di scellini, e l’occupazione si attesta sul buon numero di 768
dipendenti. Purtroppo i modelli di moto da competizione di questo
periodo si segnalano fra gli appassionati e gli addetti ai lavori come non
troppo affidabili, con alcuni problemi strutturali come l’estrema
delicatezza del carter motore in magnesio e la scarsa affidabilità della
centralina elettronica. Lo sport ricalca un copione già visto, con due
successi nel campionato mondiale di enduro nelle classi 125 e 500,
rispettivamente con Edmonson e con lo svedese Hansson, e con un titolo
assoluto nella classifica marche della 65° edizione della Sei Giorni
tenutasi a Vasteras, in Svezia, mentre nel motocross i discreti risultati
non si concretizzano in vittorie finali, in alcuna delle tre categorie.
L’evoluzione negativa dell’azienda si traduce rapidamente in una
situazione di estrema gravità, tanto che, nel mese di agosto, le banche
creditrici (la Cassa di Risparmio Centrale di Vienna e la Prima Cassa di
Risparmio Austriaca) deliberano un aumento di capitale vincolato ad un
turnover nei quadri manageriali. Purtroppo non si riesce ad arrivare
all’anno nuovo, perché a dicembre il gruppo Taus/Leeb avanza una
istanza di fallimento presso il tribunale distrettuale competente. La
situazione debitoria segnala un’eccedenza negativa d 185 milioni di
scellini, dovuta alla differenza fra gli 856 milioni di attività ed i 1041
milioni di passività. La produzione cessa alla vigilia di natale, il 23
dicembre. A commento di tali eventi, nello stesso mese il giornale
Motorsport Aktuell” riporta queste tristi note: “ L’azienda si era proposta
di superare nel giro di due anni il cosiddetto break event point, ma nel
1991 sono state conseguite perdite per 25 milioni di scellini austriaci. I
principali importatori nazionali della Ktm convengono che la politica
aziendale di questi ultimi anni non ha tenuto conto delle reali esigenze di
mercato. Il comparto delle moto avrebbe dovuto contribuire a rafforzare
l’immagine della Ktm, però gli investimenti nella ricerca e nello
sviluppo di nuovi modelli, richiesti a viva voce specialmente dagli
importatori italiani e francesi, sono risultati insufficienti. Si trattava di
una versione stradale dell’enduro 125, di una enduro 350 a quattro tempi
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e di una grande enduro sempre a quattro tempi con avviamento elettrico
e albero di bilanciamento. Ma ai nuovi proprietari dell’azienda le moto
non sono mai andate a genio. A causa della situazione contabile
veramente caotica è stato possibile dare la colpa dei problemi finanziari
alle disprezzate motociclette”. L’articolo prosegue poi sottolineando che
l’eccessivo affidamento nel mercato delle biciclette era stato un grave
errore gestionale, e che i guadagni riportati nel settore radiatori sarebbero
stati illusori, perché acquistando lo stesso materiale da ditte italiane i
costi sarebbero stati più convenienti. Comunque, al di là dei commenti
della stampa austriaca specializzata del settore moto, che non poteva
certo accogliere favorevolmente la chiusura dell’unica azienda nazionale
rimasta a rappresentare le due ruote a motore, la situazione appare ormai
funerea. L’unica nota di allegria è data dalla forza inesauribile che arriva
dalle competizioni, anche grazie ai team ed alle squadre corse che in
tutto il mondo avevano saputo rappresentare così bene la Ktm. Così il
palmares del 1991 appare sorprendente, con un altro titolo mondiale
nell’enduro con lo svedese Nilsson nella 125, l’en plein nella Sei Giorni,
con 109 moto su 360 concorrenti, e l’incredibile risultato nel motocross
con la conquista della seconda piazza assoluta in tutte e tre le categorie
con Moore, Haley e Martens.
Evidentemente era il segnale non scritto che questo marchio avrebbe
dovuto continuare ad esistere, e grazie alla forza ed alla volontà di tutti
quegli operatori che negli anni ci avevano creduto e lo avevano portato
avanti senza arrendersi, dopo pochi mesi la Ktm risorge dalle proprie
ceneri, riproponendo in chiave moderna la leggenda dell’araba fenice.
La soluzione viene trovata nella suddivisione dei tre settori - moto, bici e
radiatori - in tre distinte società indipendenti, e nell’acquisto del reparto
moto da parte di operatori professionisti del settore e dagli ex soci,
collaboratori e concessionari, fra i quali si segnalava quell’Arnaldo
Farioli, da anni distributore per l’Italia, che nel 1969 aveva conquistato il
primo titolo italiano di regolarità per la casa austriaca.
Nasce così la nuova società, denominata Ktm-Sportmotorcycle GmbH.
La linea operativa elaborata da questo gruppo di esperti del settore si
propone alcuni semplici ed essenziali traguardi:
• L’introduzione del concetto di “hard enduro”, cioè lo sviluppo
di mezzi da competizione che siano prodotti in serie e che
possano essere tecnicamente affidabili e competitivi per il
cliente che intenda utilizzarli in gara senza dover sottoporre per
forza il mezzo a modifiche o elaborazioni. Tale concetto va
perseguito specialmente nelle moto a quattro tempi, meno
sviluppate da questo punto di vista rispetto a quelle a due
tempi.
• Lo sviluppo di un design rivoluzionario che caratterizzi tutta la
nuova gamma.
• La produzione in serie delle nuove cilindrate 350 e 400 quattro
tempi.
• La volontà di non diversificare troppo la produzione,
abbandonando la fabbricazione di ciclomotori e dedicandosi
esclusivamente a motociclette con una immagine “racing”,
fortemente indirizzata verso l’agonismo.
Dal punto di vista dell’immagine, e di conseguenza del marketing, una
importante operazione di crescita della visibilità del marchio sarà quella
di lanciare una specifica linea di abbigliamento e accessori, che nel corso
degli anni avrà l’ulteriore merito di creare un forte senso di appartenenza
al marchio, e di conseguenza di regalare al cliente la sensazione di
identificarsi in un ben preciso gruppo, che si riconosce pienamente nei
successi dell’azienda e nella sua immagine vincente.
E proprio per non smentire questa immagine, anche nell’anno più nero
della sua storia, il 1992, non mancherà la conquista di due titoli mondiali
nell’enduro, con il fido Nilsson nella 125 e con l’italiano Rinaldi nella
350 4 tempi.
La nuova società parte col piede giusto e già nel primo anno di vita
assume 200 dipendenti, produce 6220 moto e chiude l’esercizio
commerciale con un fatturato di 365 milioni di scellini.
Le scelte operative, prese da veri conoscitori del settore, confermano la
loro bontà, e a riscuotere il maggior successo sono proprio i nuovi
modelli con motorizzazioni a quattro tempi di medio-grande cilindrata,
denominati con la sigla LC4. Siamo nel 1993, e un catalogo ufficiale
dell’epoca, con un tocco di sana partigianeria, spiega così la validità dei
mezzi denominati “hard enduro”: “Nel reparto sviluppo della Ktm lavora
una squadra selezionata di assoluti specialisti di motorismo con il
compito di contribuire ai successi internazionali. La valenza del lavoro
svolto da questa equipe viene confermata dalla realtà dei fatti, visto che
nell’anno 1992 la Ktm è stata di gran lunga la marca dominatrice nelle
competizioni di fuoristrada. All’interno della Ktm, i ragazzi dello
sviluppo vengono definiti scherzosamente i fanatici”.
Allora come adesso la ricerca dell’eccellenza, unita a quel senso di
appartenenza che lega con un filo invisibile coloro che oggi vengono
denominati “clienti interni” e “clienti esterni”, è la chiave che conduce al
successo, come esprimono chiaramente le teorie della comunicazione nei
loro dogmi fondamentali.
Nel 1994 l’azienda cambia ragione sociale, e si trasforma in società per
azioni, senza peraltro variare denominazione, se non nella sigla finale,
che da GmbH diventa AG, con un capitale sociale di un milione di
scellini austriaci . Vengono nominati due direttori esperti del settore
moto, Markus Stauder e Gottfried Reichinger, mentre la carica di
presidente del consiglio di vigilanza viene assunta dall’ingener Stefan
Pierer, che a tutt’oggi guida l’azienda. La produzione sale a 10.000
pezzi, con una forza lavoro di 220 dipendenti.
Esce il nuovissimo modello “Duke”, prima moto da strada del nuovo
corso, di connotazione estremamente sportiva, dotata di componentistica
di alta qualità e con un target dal livello decisamente alto.
Un altro successo si registra l’anno successivo. L’imperativo è quello di
affinare la tecnologia dei motori a quattro tempi che, sia per le leggi
americane sulle limitazioni delle emissioni, sia per un fattore di moda,
stanno prendendo piede nel confronto dei modelli a due tempi, più
leggeri e tecnicamente essenziali, ma penalizzati da una emissione
maggiormente inquinante. E così la Ktm acquisisce l’azienda svedese
Husaberg, specializzata nella fabbricazione di moto da fuoristrada
esclusivamente a quattro tempi. La Husaberg era nata pochi anni prima,
dalla scissione di alcuni ex-dipendenti della storica casa Husqvarna, nata
nel 1904, ed acquisita nel 1990 dal gruppo italiano Ducati – Cagiva che
ne aveva trasferito la produzione in Italia, negli stabilimenti di Varese.
Con questa mossa Ktm acquisisce rapidamente tecnologia e conoscenze
preziose, che serviranno ad affinare i propri modelli e a creare sinergie
fra i due marchi. E’ da sottolineare il fatto che non è stata una operazione
di cannibalismo, e ancora oggi i due marchi sono distinti e autonomi e,
pur nello spirito di collaborazione reciproca, si ritrovano parzialmente
concorrenti fra loro sia sul mercato sia nelle competizioni.
La nuova Ktm nel mondo dell’agonismo ha una maggiore affinità con
l’enduro, e lo dimostra con una continuità di risultati nel mondiale di
categoria. Nel triennio 1993-1995 sono ben sei gli allori iridati. Nel 1993
i titoli mondiali enduro se li aggiudicano nella 500 due tempi Giovanni
Sala, senz’altro il più forte pilota italiano di enduro in assoluto, e nella
400 quattro tempi Fabio Farioli, figlio di quell’Arnaldo che tanto aveva
dato alla marca negli anni passati. Sala bissa il successo nel 1994, e gli fa
compagnia un altro italiano, Mario Rinaldi. Il 1995 vede la tripletta di
Sala e la vittoria dello svedese Eriksson su Husaberg. Sembra quasi
superfluo ricordare le tante soddisfazioni inanellate alle varie Sei Giorni
Internazionale, ma è giusto ricordare almeno il successo nel 1994 degli
italiani, tutti su Ktm, all’edizione svoltasi negli Stati Uniti.
Dal 1993 la casa partecipa ufficialmente al campionato mondiale rallyraid,
la cui gara più conosciuta è l’arcinota Parigi-Dakar, e l’anno
successivo conquista il primo successo al Rally dell’Atlante, in Marocco,
con lo spagnolo Arcarons, mentre la vecchia volpe Kinigadner fa suo il
Rally dei Faraoni.
Il motocross torna in auge nel 1995, anno in cui Parker si piazzerà al
secondo posto nella classe regina, la 500: la vittoria gliela soffierà il
belga Smets in sella alla Husaberg, che si rivela subito un buon acquisto.
Questa doppietta è di buon auspicio perché nel 1996, a distanza di sette
anni dall’ultimo alloro conquistato nel motocross, la Ktm sale di nuovo
sul tetto del mondo con l’estroso pilota neozelandese Shayne King. La
vittoria nel mondiale 500, ottenuta da un team che si trova agli antipodi
dell’Austria, dà il segno tangibile della diffusione globale della marca. Il
successo più prestigioso dell’anno è accompagnato da buone prestazioni
nel mondiale rally-raid, con le vittorie in Dubai, in Tunisia e in Marocco,
mentre nell’enduro si registra una breve pausa di riflessione.
Spinta dalla volontà di offrire un prodotto concorrenziale, che sappia
rivaleggiare per qualità ed innovazione con la sempre temibile
produzione giapponese, la casa nel 1996 monta l’avviamento elettrico
sul modello LC4 620-E (dove la E sta appunto ad indicare tale
accessorio) e per prima percorrerà questa strada: solo negli anni
successivi sarà imitata dalla concorrenza in questa miglioria. E’
l’ulteriore segnale di voler essere al centro dell’attenzione e di imporre
nuove tendenze. Inoltre si cercano nuovi mercati, oltre a quelli
tradizionali quali l’Europa, gli Stati Uniti e l’Oceania, come si può
notare da questa intervista rilasciata dal management Ktm ad una rivista
specializzata: “Tutta l’area latinoamericana, di cui finora ci siamo
occupati soltanto marginalmente, racchiude un enorme potenziale.
Un’espansione in paesi ancora vergini da un punto di vista commerciale
ci permette di bilanciare eventuali future recessioni in uno dei mercati
chiave – afferma il direttore generale della Ktm Stefan Pierer.
Dall’acquisizione della Ktm da parte della Cross-Holding di Wels
(società che possiede una parte significativa delle azioni della casa)
concentrata attorno alla figura di Pierer, dopo il fallimento miliardario
della casa motociclistica di Mattighofen nel 1991, l’azienda ha raddoppiato
 le vendite.
 Si sono registrati aumenti del 4 per cento persino
nella quota del mercato domestico. Nel 1995 l’azienda ha incrementato
le cifre di produzione da 9.200 a 12.000 moto, puntando per l’esercizio
commerciale 1995/1996 su un fatturato complessivo di un miliardo e
100.000 scellini austriaci”(42).
Il 1997 porta ulteriori migliorie ai modelli di punta LC4 con la dotazione
di serie del catalizzatore di scarico, e con l’uscita della versione
Adventure, accattivante replica dei mezzi utilizzati nelle massacranti
gare nel deserto, Parigi-Dakar in testa. Dalle corse si prendono spunti per
la produzione di serie, per riversare poi nelle corse le nuove tecnologie
che daranno al cliente agonista la possibilità di ben figurare nelle
competizioni di tutto il globo, a partire dai vari campionati mondiali fino
ad arrivare alle più modeste gare a carattere regionale. Questa mentalità
vincente porta a casa ben tre allori nell’enduro, con l’australiano Whatts
nella 125, Rinaldi nella 400 ed il finlandese Tiainen nella 500. Nella Sei
Giorni, svoltasi a Lumezzane, in provincia di Bergamo e vinta dagli
italiani, la Ktm conquista tutte le classi. Negli Stati Uniti si registrano
due affermazioni nel campionato nazionale di enduro, il GNCC (Grand
National Cross Country). Pioggia di successi anche nelle gare rally-raid,
mentre la Husaberg conquista un altro mondiale nel motocross, classe
500, con il roccioso Smets.
Una innovazione importante, più dal punto di vista dell’immagine che da
quello tecnico, arriva nel 1998, con il nuovo design caratterizzato dalla
linea rastremata e filante delle fiancatine laterali, cosiddetto “ a zeta” per
la particolare forma di questa sovrastruttura. Ma una scelta ancora più
importante per il look delle moto, dal 1998 a tutt’oggi, consiste nella
scelta di un nuovo colore, l’arancione, che caratterizzerà d’ora in poi le
moto made in Mattighofen. Orange diventa sinonimo di racing, o,
meglio, di off-road racing.
L’idea, non nuova, era stata lanciata dai giapponesi sul finire degli anni
’60 per identificare meglio i loro mezzi a due ruote, specialmente nel
campo del fuoristrada. Invece le case europee, per rendere più
accattivante e vario il prodotto, offrivano modelli di colori differenti a
seconda della tipologie e della cilindrata.
Ora, dopo la rivoluzione che, negli anni ’80, aveva fatto strage di marchi
prestigiosi, rimangono poche case costruttrici, e pochissime di un certo
peso specifico. Ktm è una di queste, e decide di aderire a questa filosofia
d’immagine per creare un ulteriore collegamento visivo, di grande
effetto ottico, fra il suo prodotto e la sua clientela, presente e futura.
Comunicare le idee guida dell’azienda sarà ancora più immediato, nel
mondo dell’off-road l’arancio diventerà un nuovo simbolo di
condivisione, di passione a 360 gradi.
Si aggiorna il look, ma non cambiano i risultati sportivi. Giovanni Sala,
detto Giò da tutto il mondo dell’enduro, si aggiudica la classe 250 due
tempi ed il titolo di campione assoluto del mondiale, graduatoria istituita
proprio in quell’anno. I rally africani vedono molti partecipanti in sella
alle Ktm, ed anche nella neonata specialità del SuperMotard molti piloti
si schierano al via con le nuove moto arancioni . Il motocross
registra un altro alloro mondiale della 500 con l’onnipresente Smets sulla
sua Husaberg La produzione cresce, l’immagine assume valenza sempre più globale, e
per il 1999 si tocca il traguardo di 28.800 moto prodotte, comprese le
nuove minicross con le quali i ragazzini cominciano la loro carriera di
piloti affezionandosi fin da subito alla marca. Senza disperdersi in
troppe tipologie costruttive, ma partendo da quella nicchia di mercato
nella quale meglio riusciva, la casa di Mattighofen ha ampliato le proprie
vedute offrendo al pubblico non più solo moto specialistiche, ma anche
mezzi per l’utilizzo quotidiano, però sempre derivati da quell’ideale
agonistico che ha contraddistinto il suo cammino.
L’ultimo anno del ventesimo secolo è ancora caratterizzato da due
successi nel mondiale enduro nella 125 con l’astro nascente Salminen,
finlandese, e con il solito Sala nella 400. Il neonato Campionato
Mondiale Cross Country Rallies, che nel suo calendario annovera le gare
di endurance nel deserto più prestigiose, è vinto dal francese Magnaldi in
sella a una Ktm, anche se per conquistare la Dakar bisognerà attendere il
nuovo millennio









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